Primo maggio festa delle lavoratrici e dei lavoratori

La Festa del lavoro ha una lunga tradizione: il primo “Primo Maggio” nasce infatti a Parigi il 20 luglio del 1889.

L’idea venne lanciata durante il congresso della Seconda Internazionale, in quei giorni era riunito nella capitale francese. Durante i lavori venne indetta una grande manifestazione per chiedere alle autorità pubbliche di ridurre la giornata lavorativa a otto ore.

La scelta della data non era casuale: si optò per il 1° maggio perché tre anni prima, nel 1886, una manifestazione operaia a Chicago era stata repressa nel sangue. A metà del 1800, infatti, i lavoratori non avevano diritti: lavoravano anche 16 ore al giorno, in pessime condizioni, e spesso morivano sul luogo di lavoro. Il 1° maggio 1886 fu indetto uno sciopero generale in tutti gli Stati Uniti per ridurre la giornata lavorativa a 8 ore. La protesta durò 3 giorni e culminò, il 4 maggio, con il massacro di Haymarket: una vera e propria battaglia in cui morirono 11 persone.

OLTRECONFINE. L’iniziativa superò i confini nazionali e divenne il simbolo delle rivendicazioni degli operai che in quegli anni lottavano per avere diritti e condizioni di lavoro migliori. Così, nonostante la risposta repressiva di molti governi, il 1° maggio del 1890 registrò un’altissima adesione. Oggi quella data è festa nazionale in molti Paesi.

ABOLITO DAL FASCISMO. Nel 1923, sotto il fascismo venne abolito il 1° maggio e la festa dei lavoratori confluì nel Natale di Roma (21 aprile), leggendaria data di fondazione della Capitale, nel 753 a. C.

Nel 1947 infine la festa del lavoro e dei lavoratori divenne ufficialmente festa nazionale.

LAVORO
SIGNIFICATO Impiego di energie volte ad uno scopo – in particolare, l’esercizio di un mestiere
ETIMOLOGIA dal latino: labor fatica, lavoro.
In varie lingue europee, il significato originario di questa parola, messo in luce dalle diverse etimologie, pare concentrarsi sempre sui suoi accenti più negativi: dolore (travaillé; trabajo), servitù (Arbeit), forse urgenza (work).

Viene allora da chiedersi, ad esempio, perché questo lavoro da noi abbia una festa, perché ci si fondi su la Repubblica italiana: dopotutto si tratta di qualcosa di artificiale, alieno ad ogni forma animale non umana – e se è per giunta così tormentoso, è un agire che certo meriterebbe di esser solo lenito, e di nascosto, in penombra.
Ma il lavoro è cifra dell’umano: Darwin ci dice che al mondo sopravvive il più adattabile – e l’uomo non solo si adatta al mondo circostante, ma, unico, adatta a sé quel mondo. Il lavoro è la chiave.
Così il lavoro diventa il più usato mezzo di realizzazione personale (di per sé o permettendo stabilità o impiegandone i ricavi) e il momento forse più rilevante dell’azione individuale nella società, e lo strumento per adattare la nostra realtà a noi stessi e ai nostri progetti – un voto da non abbandonare al caso.
Nella vita dell’antico contadino il lavoro era il disperato, impotente tentativo di stare aggrappato al capriccioso seno della Natura: ora non è più così. A grande prezzo e con umanissimo sforzo d’ingegno e progresso, i nostri avi ci hanno riscattati dal lavoro come servaggio in perenne scacco – lavoro che è invece diventato libertà.
prof.ssa Francesca Zerman- Dipartimento di Lettere