La rivoluzione dei capelli al vento

DEDICATA ALLE DONNE IRANIANE

LA RIVOLUZIONE DEI CAPELLI AL VENTO di Ennio Cavalli

Per strada, sui tram, nell’Iran
battuto dai guardiani a caccia di ciocche
color velo ribelle,

le ragazze aspettano che cambino la moda e le teste
per rinnovare il trucco
e rincollare i cocci.

L’anima in volo pulsava come adesso.
Non sanno che Mahsa, Hadis e le altre
mischiate e dannate in nome del Profeta
sono i nomi spettinati, rinsanguati
di tutte le sue mogli: Aisha, Hafsa e le altre.

Masha, Hadis, Aisha, Hafsa e le altre
con passo leggero, vive e morte,
per corridoi di lettere e calligrammi,
giungono al Calamo, al Libro, al cuore della tribù.
Sono migliaia e migliaia, non si fermano più.

Ogni donna è cara a Dio come un’oasi nel deserto
come la pioggia e le palme da dattero.
Guai a toccarle.
Parla in piazza in antico persiano
un poeta fuori rango, fuori orario.
Le donne sono sorgenti, dolcificano ogni dove.
I capelli, erba medica in combutta col sole.
Sotto il sole, menti nuove.
La mancanza di luce è l’alopecia dei tempi che corrono.
Mettete un fiore tra i capelli di mogli e figlie,
fatele uscire, lasciatele studiare, lavorare
inerpicarsi e correre.
Amano se stesse, la parte di mondo che manca.
Come Huri dagli occhi neri
saranno decisive e indeclinabili,
più belle e pure di momento in momento,
comunque si chiamino o si acconcino.

Ma si sa che non è questione di chiome.
È questione di prendere il potere
per i capelli, il popolo per i fondelli,
tenerli in pugno il più possibile, potere e popolo,
con leggi subalterne sempiterne.

Il codice di Dio non può essere banale, penale o civile.
Il codice di Dio è talmente superiore
da permetterci di credere o di girare i tacchi.

Che fede sarà mai, inculcata come granturco
nel gozzo delle oche?
Il fegato si ammala, la testa dei fedeli va in cirrosi.
Però, sostiene il poeta persiano,
è così che si domina il campo
e anche la rabbia, la miseria e la lentezza
macro e microeconomia
i rapporti inguinali, internazionali.

Ma non sia il Libro rivelato,
il Libro mozzafiato che sprona al bene
a fare da leggio ai verbali dei guardiani.

Chi vede il demonio in un’acconciatura
condanna alla calvizie l’intera umanità.

Chi impone bendaggi a visi e corpi
è un guastatore mummificatore.
Nessuno è Maometto
nessuno è perfetto fino al punto
da risultare invisibile.
Ogni creatura costretta a tanto
è una bestemmia che cammina,
fa tremare le stelle fisse,
l’altra metà di cielo, il cielo intero.

Il poeta persiano è ancora in piazza,
i sandali nella polvere di quello che sarà,
polvere o spiritualità.

QUELLO CHE ACCADE ALLE DONNE IRANIANE NON PUÒ LASCIARCI INDIFFERENTI

Vogliamo rivolgere lo sguardo rivolto all’Iran dove dal mese di settembre le donne si sono rese protagoniste di un movimento di protesta, nato sull’onda dell’indignazione per il brutale omicidio di Mahsa Amini, una giovane arrestata e poi picchiata fino alla morte dalle Guardie della rivoluzione perché non indossava correttamente l’hijab.

Quel femminicidio  è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso dopo quarant’anni di tensione. Una rivolta esplosa per un evento specifico ma che, in realtà, stava maturando da tempo in ogni strato sociale.

Il velo viene contestato oggi come simbolo di contenimento della libertà femminile. L’opinione pubblica, indignata inizialmente per il trattamento riservato alla famiglia della vittima e per il tentativo di liquidare la sua morte come dovuta a cause naturali pregresse, si mobilita ormai da due mesi dietro lo slogan “Donna, vita, libertà”, parole d’ordine prese in prestito dalle rivendicazioni delle donne curde e adesso incorporate e assunte da una mobilitazione più ampia ed estesa.

Vanno ricordati i numeri drammatici della repressione del regime iraniano nelle ultime settimane: 250 persone uccise, di queste 33 erano minorenni, 13mila persone arrestate, fermate o scomparse. Cifre approssimative perché dati ufficiali non ne esistono e la conta è affidata al lavoro delle ong per i diritti umani che operano in clandestinità.

Il velo era già stato contestato in diverse occasioni, sempre represse nel sangue, dal 1979 a oggi.

La prima volta fu proprio all’indomani dell’istituzione del suo obbligo, quella che ricordiamo più chiaramente nel corso della cosiddetta Onda Verde, nel 2009, e più di recente ancora sono state le ragazze di Enghelab nel 2017 a ribellarsi. Questo movimento, però, è diverso: nessuno ha avuto una durata così lunga e un’adesione così massiccia anche tra gli uomini e tra le diverse classi sociali. In più l’omicidio di Mahsa, avvenuto alla vigilia della celebrazione islamica dell’Arbaiin, ha avuto un forte impatto anche su alcuni gruppi religiosi che hanno così aderito alle proteste.

La novità del movimento

Si tratta di qualcosa di molto differente dall’Onda Verde: quello era un movimento che ancora credeva possibile una riforma dello Stato. Le generazioni che scendono in piazza oggi, invece, sperano in qualcosa di radicalmente diverso.

Ci troviamo davanti non a un movimento anti-velo e anti-Islam ma a un movimento pro-scelta, femminista e anti-patriarcale che riesce a raccogliere la solidarietà di tutti e che parla a tutti. È un movimento intersezionale come quelli propri di quest’epoca che mettono in luce e sottolineano le intersezioni di diverse gerarchie di oppressione contestando l’ordine sociale e politico che queste creano.

Patriarcato è una parola chiave. Queste proteste indicano in maniera esplicita il collegamento che esiste tra l’autodeterminazione del corpo femminile e la costruzione dello Stato. Sul corpo delle donne passano, infatti, questioni giganti di politica internazionale e di definizione dell’identità nazionale. In Iran da lì passa anche la costruzione dello Stato-Nazione.

Ci sono voluti quarantatré anni di sofferenza per le donne iraniane perché il mondo intero si accorgesse delle loro priorità. In questo periodo leggi e interpretazioni ciniche della sharia hanno tentato di trasformarle in cittadine di secondo livello. Oggi questa situazione non sta più bene non solo alle donne, ma anche agli uomini. Ed è la prima volta che una richiesta legittima e fondamentale delle donne viene percepita dalla popolazione a prescindere dal genere. Da qui anche la lettura dello slogan delle piazze iraniane: “La donna è il fulcro del cambiamento, la vita è quella che è stata attaccata costantemente da questo regime non ultimo con la legge sulla riproduzione che non permette più di usare metodi anticoncezionali o di abortire, la libertà è libertà per tutti e per la quale gli iraniani combattono dai tempi della rivoluzione costituzionale di inizio Novecento e che inevitabilmente passa per la libertà femminile.

Prof.ssa Francesca Zerman Dipartimento di Lettere